martedì 19 marzo 2019

Noi e loro


Noi contro loro è una partita senza tempo.
Non contano le generazioni in campo, non conta se è un’amichevole, non conta se fa caldo o se grandina. Noi contro loro è solo una partita che tutti vogliono vincere, domani come cinquant’anni fa, oggi come tra un decennio. Solo chi ha bazzicato i campi di periferia può capire. Campi di terra più che d’erba, campi con le gradinate ad alto tasso di imparzialità, campi con panchine sgangherate e spogliatoi che incomprensibilmente puzzano di pesce. Campi dove vincere è un’impresa.

Ci presentiamo a casa loro decimati. Allenatore squalificato ma abbarbicato alla rete, rischiando più volte di rotolare a valle, in panchina più dirigenti che riserve con il capitano fuori per infortuno che, acciaccato, si mette al timone di una squadra sbarazzina e tenace. L’undici iniziale vede sette under 25 e solo due over 30. Definirci giovani non ci rende giustizia fino in fondo. Di fronte a noi i padroni di casa. L’immaginazione corre a dipingerli come quei mostri barbuti che talvolta si trovano nei film e che spaventano gli sbarbatelli coi loro ghigni. Sono motivati e furenti, devono vincere per mantenere intatte le chance di promozione e noi, gli eterni rivali, siamo l’ultima cosa che si auspicano di incontrare sul loro cammino.

L’inizio è allentato, sfilacciato. Forse a causa del solicello che intorpidisce e addormenta le membra, forse perché in campo c’è paura di perdere, forse perché nell'aria c’è quel profumo che si espande quando qualcosa sta per succedere.
A svegliarci dal sogno primaverile ci pensano le prime botte che iniziano a volare in campo. La coppia dei centrocampisti cugini Mirko e Lorenzo, che in due fanno poco più dell’età di capitan Andrea, non si lascia intimorire dal piglio degli avversari e, nonostante la giovane età stanno al gioco senza remore. Sugli esterni gli altri due sbarbatelli Sebastian e Francesco tengono in apprensione i locali che sembrano più sicuri di vincere, ma sotto sotto ci temono come un brutto sogno.
Dopo un iniziale equilibrio loro iniziano a premere, schiacciandoci nella nostra metà campo. Nicola, col suo fare rude, ne scaraventa in terra un paio, mettendo subito in chiaro che oggi non c’è alcuna voglia di far passare nessuno. Sull'altro lato si gioca il duello tra Nicolò e il loro numero 11, vecchio marpione di questi campi dal sinistro malefico che già all'andata ci ha fatto male. Resistiamo al primo assalto, al secondo, senza mai disdegnare la ripartenza.

Poi un lampo.
Usciamo palla al piede da una soluzione complicata. Umberto controlla a metà campo e con un rasoterra preciso taglia il rettangolo di gioco cercando Sebastian sull’out di destra. Il puledro galoppa a più non posso per raggiungere il pallone, che mette repentinamente al centro dove un proverbiale Luca si fa trovare al momento giusto nel posto dove sognava di essere da inizio campionato. Zampata di sinistro da bomber vero, palla sul secondo palo e che la festa inizi.

La loro reazione è furente. I locali si riversano in massa nella nostra metà campo, aggredendoci a testa bassa per farci male. Sono più forti di noi, diciamolo pure, ma oggi hanno paura, si percepisce nell'aria una certa insicurezza che li fa peccare in lucidità.
“Forza ragazzi, un minuto ed è finito il primo tempo”. La frase suscita improperi irripetibili dell’allenatore nei miei confronti, proprio mentre i nostri avversari stampano una conclusione da pochi passi sulla traversa, prima che una mischia furiosa ci faccia sudare freddo più a lungo di quanto le nostre sensazioni ci facciano sembrare.
Duplice fischio, riposo.
Ci siamo ragazzi. Siamo lì, sul campo. Concentrati, determinati.
Negli occhi di questa mandria di scavezzacollo c’è grinta e irriverenza, determinazione e voglia di vincere.
No pasaran!

La ripresa è una battaglia. Colpi proibiti, sceneggiate, urla da dentro il campo, urla dagli spalti, urla dal nostro mister avvinghiato alla rete di recinzione. Urla nervose di loro. Urla di incoraggiamento per noi.
Niccolò sembra aver superato il brutto momento del primo tempo e annichilisce il suo avversario. Jonathan e Gioele ramazzano tutti gli oggetti di forma vagamente sferica a due metri di distanza. Davanti il subentrato Matteo rincorre ogni pallone e ogni avversario con cieca caparbietà.
Poi sale in cattedra il portiere Elia che, ancora una volta in questo campionato, sfodera degli interventi che non si vedono spesso su questi campi. Uscite, respinte, parate e scaramanzie. La fantomatica saracinesca è serrata, e davanti a lui un’orda di ragazzi che fanno vedere i denti, pronti a difendere con tutto il possibile quello che hanno faticosamente conquistato.
No pasaran!

I minuti corrono veloci ma i nostri non fanno una piega. Il veterano Simone esaurisce i nostri esigui cambi, mentre là davanti il povero Umberto è costretto a fare a spintoni con chiunque per tenere la palla più lontano possibile dalla porta. Loro sono furiosi e attaccano a testa bassa privi di lucidità. Noi siamo lì ad aspettarli. Lottiamo, razionali, con le buone e con le cattive se c’è necessità, mentre negli sguardi dei ragazzi brilla quella decisa, irremovibile, statuaria, voglia di vincere. 
No pasaran!

Cinque minuti di recupero, un’eternità, ma ci siamo. Penso quel che non si può dire, penso che oggi questo gol maledetto loro non lo segneranno mai. Elia fa di tutto per supportare questa mia convinzione fino a quel triplice fischio tanto effimero quanto mai così dolce quest’anno.
Noi battiamo loro 1 a 0.

Con gli uomini contati, senza allenatore, con una squadra di giovanissimi, contro una compagine più forte, in trasferta, in un campo da sempre sinonimo di battaglie epiche.
Il calcio di provincia è questo. Un luogo dove non esistono Var, social, diavolerie progressiste. Per due ore ci sono solo sudore, quarantasei gambe che corrono e una palla che rotola su erba e terra. Un mondo senza tempo, oggi uguale ad ieri, una sfera dove la tecnologia non esiste, dove per un lasso di tempo limitato ci si può scordare dell’epoca contemporanea.
Un teatro dove ancora vanno in scena le nostre piccole grandi battaglie.

venerdì 25 febbraio 2011

La sconfitta delle difese

L'ennesimo passo falso delle italiane in europa lo sancisce il Napoli, che in due minuti due si fa rimontare dal Villareal e saluta il continente.
E' soltanto l'episodio finale di una saga di orrori; il milan, la roma e l'inter in ordine cronologico avevano offerto un buon prologo e adesso pure i partenopei; è il segno evidente che ci siamo involuti calcisticamente e non ci vuole un genio per rendersi conto razionalmente della situazione.
Attualmente siamo sui livelli di un campionato olandese di metà anni 90. Belli quegli anni, bello quel tipo di calcio per come era giocato, non sempre basato troppo sul fisico e sulla potenza ma anche su altre qualità che adesso magari si notano meno sotto i luccichii di CR9 e la forma statuaria del 90% dei giocatori attuali. In quell'epoca calcistica la facevamo da padroni con tutti e attraverso tutti: Juve, Milan, Lazio, Parma, Inter vincevano in europa, facendo a fettine chiunque si presentasse loro davanti.
Dominavamo il mondo del pallone perchè allora i campionati, le competizioni, le singole partite, si vincevano con le difese. La tendenza è andata avanti ancora per un decennio circa, per culminare con quella che era la generazione che Baggio e Zidane ci avevano lasciato, quei Nesta, Cannavaro, Buffon, Totti, Pirlo, ecc.. che nel 2006 hanno marchiato a fuoco il mondo dando la dimostrazione di quanto ancora valeva quel calcio.
Ben sapevano, o qualcuno forse neanche immaginava, che era il canto del cigno per noi, e che da quel momento saremo stati destinati a anni di purgatorio. Le difese non vanno più di moda oramai; ha vinto, stravinto il modello di gioco spagnolo, non a caso la Liga è l'ambiente in cui ritroviamo l'assoluta maggioranza dei più grandi giocatori del mondo. Noi dal canto nostro siamo retrocessi in serie B, troppo ciechi, narcisi, abbagliati e orgogliosi di essere sempre e comunque i migliori.
In realtà vince chi fa un gol di più oggi, non chi ne prende uno di meno, che può sembrare la stessa cosa ma in realtà non lo è. Siamo rimasti a tecniche di allenamento che possono fare la fortuna di ogni squadra all'interno dei confini nazionali, con l'aggravante però di farci perdere il senso del nostro declino; per decenni non abbiamo
fatto altro che farci vanto rispetto al mondo di avere il campionato più bello o comunque il più difficile e tecnico. Adesso che il mondo ci ha sorpassato facciamo fatica a ribaltare questo ideale, perchè continuiamo a formare i giovani giocatori facendo forza solo su tattica e muscoli, sminuendo la tattica e l'intuito, soffocandolo in metodi di fare gioco chiusi. Al contrario oltralpe hanno iniziato a lavorare in direzione opposta alla nostra, mettendo in primo piano il bel gioco. E il gol. L'aspetto nuovo della questione è che si sono ribaltati i valori e la fanno da padrone le squadre che giocano il tutto per tutto, partendo dalla mentalità che vince chi segna un gol in più dell'avversario. Il calcio moderno è questo perchè diverte. E vince.
Noi continuiamo a fare i catenacciari, con improponibili linee mediane di incontristi (il Milan capolista ultimamente va in campo con Gattuso, Van Bommel e Merkel), continuiamo a giocare con una punta, massimo una e mezzo perchè altrimenti non c'è equilibrio in squadra, continuiamo a giocare perdendo tempo per difendere il risultato.
Intanto, finchè non capiremo questo dettaglio, finchè TUTTO il movimento non deciderà di cambiare, ci abitueremo alla mediocrità calcistica, quella in cui Bogdani è considerato un buon attaccante e Montolivo un giovane promettente.
In bocca al lupo.
A Noi.

lunedì 17 gennaio 2011

Una domenica di terza categoria

Le domeniche di calcio in categoria sono diverse. Hanno ancora un po' di sapore retrò. In trasferta soprattutto, quando ti trovi la mattina al bar in paese e tra un caffè e il primo cicchino con gli occhi ancora incollati decidi chi porta la macchina. Quando parti in 8 da casa con la gente che esce dalla messa e viene al bar e tidice per fare la simpatica: "Quanti ne prendete oggi?" Parti e il viaggio di partenza è sempre semi taciturno, a meno che uno non abbia fatto le notti brave la sera prima. Arrivi al campo e posi la roba, poi entri sul terreno di gioco in borghese per vedere il campo; "è grande, è piccino, è largo, è lungo, c'è poco spazio ai lati". Oguno la vede come gli pare ma in realtà è solo una scusa per fumare l'ennesimo cicchino. Entri negli spogliatoi, ti conti e vedi che sei undici; di conseguenza si chiama in fretta e furia uno che era già praticamente a tavola. Ovviamente il candidato risponde presente. Si fanno le note, si caricano i ragazzi; non sempre ci si riesce. Caffè, la chiama dell'arbitro e si parte. Partita ruvida, legnosa, spigolosa; ma interpretata col piglio giusto. Spesso ci sono motivi di discussione, perchè quando calchi i campi terrosi e motosi fino agli occhi nei posti più assurdi e ne fai di tutte per una partita di terza categoria, e la squadra va male, è molto probabile discutere. Ma oggi no, siamo concentrati, affamati; la paura di vincere è una bestia dura da mettere ko e si vede forte nelle prime volte che ti capitano le occasioni da rete. C'è il timore, il terrore di sbagliare. E puntualmente sbagli, perchè alla fine è pur sempre categoria e fenomeni non ci sono. Ma prendi coraggio, vedi che tieni bene il centrocampo e davanti ti fai vedere, la squadra prende fiducia e inizi a crederci.
"Marco, vieni qua."
"Che c'è?"
"Quando ce la fai prova a cambiare il gioco, anche alla cieca, a casaccio. Oggi si entra bene in profondità."
"Sono nel casino, sono sempre da solo".
"Te provaci".
Forza ragazzi, facciamo il colpaccio.
Calcio d'angolo, colpo di testa, traversa e tocco del portiere. Imprecazioni di varia natura. Insisti, da un corner battuto e mal sfruttato la palla finisce a Marchino che alza la testa e cambia gioco; il portiere di loro accenna l'uscita ma rimane a metà strada, Lorenzo entra, aggira l'estremo difensore e appoggia in rete da posizione angolata con un rasoterra. Esulti e urli, e entri in campo a abbracciare tutti, proprio mentre l'arbitro ti brontola e fischia la fine del primo tempo. Ci sarà da soffrire.
Rientri negli spogliatoi, bevi, ti riprendi, scarichi e ricarichi.
E torni in campo, sai che loro verranno su incazzati come iene e ti prepari mentalemente; si rientra e come previsto ti ritrovi chiuso dietro a fare le barricate. Tutto sommato te la cavi, non corri troppi rischi finchè l'arbitro non inventa un rigore contro. Ennesima dose di imprecazioni e ennesimo cicchino della giornata.
"Quest'anno non ce ne gira una"
"Tanto lo sbaglia"
Sono le due cose che ti frullano in testa contemporaneamente. Parte il nottolone di loro e spara una legnata sulla traversa e all'istante terza sonora dose di imprecazioni superurlate di sfogo gioioso. Godi ma sai che dovrai soffrire.
A un certo punto l'arbitro perde il cervello (dal tuo punto di vista) e butta fuori uno dei tuoi perchè gli ha risposto male; dovresti fare la cazziata al tuo e invece accani l'arbitro difendendo a spada tratta il tuo compagno.
"Ti avevo visto grintoso, hai giocato bene. Bravo, non me la sento di dirti nulla".
Avevamo un po' discusso in settimana perchè il ragazzo non si sentiva stimolato e lo avevo come ripreso, senza scenate ma gli avevo fatto capire che non mi era piaciuto, e glielo avevo ripetuto sul viso prima dell'inizio della partita. Ma mi aveva risposto con uno sguardo che mi piaceva, come a dire "oggi spacco tutto e ho un casino si voglia di vincere". Spesso uno sguardo di intesa di una frazione di secondo riesce a spiegare meglio un concetto di quanto non si possa riuscire a fare a parole. Ma aveva capito e nonostante l'infortunio aveva sputato sangue e giocato bene. Era il suo modo di dirmi che aveva compreso ciò che gli avevo voluto trasmettere.
Mancano ancora venti minuti e ti chiudi dietro, congelando cambi e tattica, limitando al massimo le sgroppate offensive, cercando sempre di prendere punizione in attacco. soffri, il tuo portiere fa degli interventi importanti e la squadra prende sicurezza tutto insieme, come un guerriero che ha rtrovato la via e il saper combattere e vincere. Strappi i tre punti e ti abbracci tutti a borracciate d'acqua addosso a gennaio, ti abbracci tutti a patte e prese per il bavero della maglia.
Faccio il giro di tutti, arrivo anche dal mio amico e gli urlo sul viso, urlo sul viso a tutti, chiamo Marchino, saluto tutti. Ti senti bene in quei momenti li.
Rientri negli spogliatoi e un attimo di silenzio appena tutti dentro, quest'anno non siamo abituati alla vittoria e quasi non ci ricordiamo che si fa quando si vince. Parto a battere sulla porta di plastica che rimbomba e fa un casino tremendo nella stanza.
"Allora si urla o no, s'è vinto".
Parte l'inferno con tutta la roba che vola per aria e tavoli e panchine che si alzano e si riabbassano sul pavimento con quindici persone che urlano a più non posso, attaccappanni che dondolano pericolosamente mentre cascano tutte le borse appollaiate sopra. Entra il custode della squadra di casa a dirci di fare piano; un secondo di silenzio e poi si parte tutti a urlare sul viso al custode, senza sbeffeggiarlo, ma continuando semplicemente a fare festa.
E' bello urlare negli spogliatoi altrui quando sei in trasferta, così come è triste sentir gridare a casa tua. Ma quando vinci non esiste, urli a più non posso quasi a finire l'avversario. Tutte le squadre lo fanno in categoria, quasi fosse un rituale di festa.
E' bello questo calcio ancora fatto di piccoli miracoli, quando parti in undici e vinci con un uomo in meno, da ultimo in classifica, quando sputi sangue e ci metti la faccia nei campi della provincia più remoti, quando veramente i soldi non contano perchè nessuno riscuote nulla e si gioca con tanti sacrifici, anche economici talvota, e si gioca per la maglia e per il calcio.
Devo comprare la fascia nuova al capitano, che la sua è tutta rotta.
Gliel'avevo promesso

domenica 16 gennaio 2011

Gol d'autore

azione corale e gran senso del gioco di Eto'o. straordinario nel guadagnare 10 metri da fermo al difensore del Bologna. Lo schiaccia dalla line dell'out fin quasi dentro l'area a palla ferma. Poi ottima lettura dell'azione con Milito a fare da comprimario e un destro rasoterra a girare non potente ma preciso e inarrivabile. La maggior parte degli attaccanti avrebbe fatto gol da li sparando una bordata a mezza altezza sul secondo palo; lui la piazza di giustezza proprio li dove il portiere non può arrivare.



Cavani non reggerà sempre a questi ritmi ma è migliorato moltissimo e il primo gol contro la Juventus è la dimostrazione che sta nascendo un grande attaccante che non fa del fisico il suo punto di forza, ma si fa leva sull'intelligenza calcistica e la capacità di leggere l'azione in un colpo d'occhio. Rimane dietro al difensore prima che la palla arrivi a meggio, lo inganna fingendo il movimento di entrare in area e poi si ferma e va a smarcarsi solissimo vicino al dischetto, per potersi muovere a proprio piacimento decidendo come e con che forza scaraventare il pallone in rete. Gol da grande attaccante